Nella loro potenziale ascesa, i Paw furono definiti la versione rurale dei Pearl Jam, tuttavia la band originaria del Midwest possedeva peculiarità molto diverse rispetto alla fenomenologia grunge, nel quale fu inserita con troppa frenesia dai media ansiosi di trovare i “nuovi “Nirvana.
Rinomata cittadina universitaria (sede della prestigiosa University of Kansas), la ridente Lawrence fu menzionata dal New York Times come il luogo che “aveva la scena musicale più vitale tra Chicago e Denver”. Proprio da Lawrence provenivano i Paw, interessante quartetto che balzò nei taccuini dei più importanti A&R delle grandi etichette discografiche, che sin dal 1992 avevano l’incarico di scovare e dar la caccia alle nuove band sulla scia dell’esplosione della Grunge-mania. Un demo di una manciata di brani su cassetta sarà il loro ingenuo lasciapassare per l’approdo alla A&M, che dopo i Soundgarden cercava qualcosa di maggiormente melodico da poter spendere per Mtv e per le radio.
Formato da Grant Fitch (chitarra) e Mark Hennessy (voce), vi si unirono Peter Fitch (fratello di Grant) alle percussioni e Charles Bryan (giovanotto con la passione per il paracadutismo) al basso. Diversamente da chi cercava di emulare la musica del momento, i Paw partirono con le idee chiare ed una visione della propria artistica che aveva radici sostanzialmente diverse dalle band di Seattle. Se per il Northwest il garage fu elemento peculiare, al pari del punk-hardcore o del metal più granitico, per i Paw le influenze maggiori provenivano dall’alt-country, dal southern-rock o dalla classica ballad americana. Sensibile tanto alle nostalgiche melodie di Duane Allman, quanto al metal tellurico di Page Hamilton (Helmet), la Les Paul di Grant Fitch era fantastica a tessere trame potenti tra distorsioni ruvide e riff tradizionali mescolati in una dinamica molto spinta e ben supportata dalla ritmica di basso e batteria. Tale impianto sonoro sarà il tappeto sonoro ideale su cui Mark Hennessy tradurrà l’indole rurale del Midwest in versi colmi di nostalgia, che avrebbero potuto attingere dalle storie dell’America di inizio secolo di Faulkner o di Steinbeck.

Già nel 1992 per la Nasty Pope Records di stanza a Lawrence, i Paw autoprodussero due singoli dal buon potenziale radiofonico: Lolita/ One More Bottle e Sleeping Bag/ Hard Pig finiranno con leggere limature nel disco d’esordio per la A&M. Le grandi aspettative dell’etichetta si tradussero in scelte mirate ad ottenere lo stesso tipo di sound che aveva portato ai vertici i Nirvana: non fu un caso quindi la scelta degli Smart Studios di Madison, gli stessi in cui Butch Vig aveva registrato Nevermind. Sotto la regia di Mr. Colson (alias Doug Olson, produttore che già orbitava negli Smart Studios) i Paw registrarono nell’autunno del 1992 l’aspro rock della polvere e del deserto di Dragline. Grant Fitch affermò che il titolo prendeva spunto dal nome di uno dei protagonisti del film culto Cool Hand Luke (per noi, Nick Mano Fredda con Paul Newman), che Fitch solitamente guardava assieme al taciturno padre. Una sottile tensione tra desolazione, morte e senso di colpa accompagna la narrazione di Dragline, merito anche delle liriche ricercate di Hennessey, autore mai troppo apprezzato dalla critica musicale dell’epoca. Eppure, nei testi di Dragline si avverte una flebile suspense che prende l’ascoltatore alla sprovvista: se in Couldn’t Know, una normale battuta di pesca si trasforma in una dissacrante riflessione sul sacrificio ed il senso di colpa dopo la scoperta che il grosso pesce tirato su con le reti lascerà orfani i suoi piccoli in acqua; in Jessie invece, il protagonista implora il proprio cane di non seguirlo e di tornare a casa (“Jessie, don’t follow me / Jessie, go on home”), poiché la sua intenzione è quella di farla finita per sempre.
Nelle sue 12 tracce, Dragline non sembra troppo influenzato dalle sonorità grunge (fatto salvo qualche sparuto episodio in Gasoline o in Lolita), i Paw reclamano la loro proposta musicale che trasuda lo spirito del Midwest tra riff southern e slide dal sapore country-blues, pigiando con maleducazione sulle distorsioni quando i ritmi e l’emotività del brano le richiede (The Bridge o la potente Hard Pig). Uscito nella primavera del 1993 ed anticipato dal singolo Jessie, Dragline venderà complessivamente 80.000 copie, soddisfacendo in parte la critica (che non si esimerà dall’etichettarli malamente come “country-grunge”) ma deludendo completamente le aspettative della A&M. Nonostante una lunga tournee che per tutto il 1993 impegnerà i Paw in ogni angolo degli States per poi sbarcare in Europa e Giappone, il pubblico non premierà una band le cui aspirazioni non erano perfettamente allineate al grunge.
Nel 1994 il bassista Charles Bryan lascerà la band per diventare paracadutista di professione; i Paw ridotti momentaneamente a terzetto registreranno ai Pachyderm Studios di Cannon Falls nel Minnesota il suggestivo Death To Traitors che uscirà nell’agosto del 1995. Con Grant Fitch che si dividerà tra chitarra e basso (coadiuvato dai turnisti John Licardello, Paul Boblett) i Paw inaspriscono il loro sound tra bordate metal e declinazioni southern-rock (la tarantolata No Such Luck o la stessa title-track), perfezionando lo schema della ballad rock nell’ottima Hope I Die Tonigh, in Seasoned Glove e in Badger (che paga un certo debito con i Pearl Jam). Il picco emotivo si tocca con Sweet Sally Brown, il cui ritmo lento e teso tra basso e batteria esplode in un chorus violento e disperato nel quale il protagonista implora la Sally Brown del brano di non premere il grilletto. Nonostante la viscida tensione degli esordi si sia diradata, Death To Traitors rimane un disco più che dignitoso, non premiato da vendite insoddisfacenti che fanno optare la A&M per la risoluzione del contratto con un album di anticipo, ponendo di fatto fine all’esperienza dei Paw. I fratelli Fitch assieme al nuovo bassista Dan Hines formeranno nel 1998 il progetto Palomar, con sonorità più morbide rispetto ai lavori dei Paw, pubblicando l’album World Without Horses per la loro etichetta Outlaw Records. Nello stesso periodo, per la medesima label, i Paw rilasceranno la raccolta (tra b-side e cover) Keep the Last Bullet for Yourself, nella quale spicca una versione piuttosto fedele all’originale di School dei Nirvana. Dopo una pausa di due anni, i Paw ci riprovano con Home Is a Strange Place, breve prova incolore che non aggiunge nulla a quanto di buono fatto negli anni Novanta. Sarà lo iato finale per la band del Kansas, che nella sua breve carriera ha raccolto decisamente meno di quanto avrebbe meritato, non tanto per demeriti propri, quanto per quelle folli aspettative pompate dai media: se non poteva esserci un’altra band come Pearl Jam e Nirvana, sicuramente non ci sarebbe stata nemmeno una band con il background culturale e la ricercatezza delle liriche dei Paw.
Discografia:
- 1993 – Dragline (A&M Records)
- 1995 – Death to Traitors (A&M Records)
- 1998 – Keep the Last Bullet for Yourself (Outlaw Records)
- 2000 – Home Is a Strange Place (Koch International)

Charles Poisonheart
Charles Poisonheart (nella vita reale Alessandro Cancian) avido ascoltatore di musica indipendente, scrive dal 2009 sul blog Heart of Glass Recensioni Musicali e dal 2019 su In-Retrospettiva.
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